Charly Gaul

Charly Gaul al Tour de France '58
Charly Gaul al Tour de France ’58

Se prima dell’avvento di Marco Pantani avreste chiesto a qualche esperto di ciclismo chi fosse stato il più grande scalatore della storia del ciclismo, questi sicuramente vi avrebbe risposto Charly Gaul.

Quello di Charly Gaul è un nome che evoca grandi imprese, tutte legate a Giro d’Italia e Tour de France, perché il campione lussemburghese è stato essenzialmente un grandissimo specialista, e più che delle corse a tappe lo è stato soprattutto delle salite.

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Gaul era un arrampicatore puro, che si esaltava sulle montagne più dure dove saliva sfruttando più l’agilità che la potenza, contrariamente a quanto facevano tutti i campioni della sua epoca. La sua parabola di campione fu abbastanza breve, ma legata a giornate che hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia del ciclismo.

Fuori dal ciclismo Charly Gaul era un personaggio difficile, dall’aria indecifrabile e distratta, che non aveva molta voglia di far solo fatica. I suoi eccessi, alcool e donne, furono probabilmente i motivi per i quali la sua carriera declinò presto.

Charly Gaul nacque in Lussemburgo, ad Asch, l’8 dicembre 1932, e già al passaggio tra i professionisti si fece notare in un grande Mondiale, quello del trionfo di Bobet in Germania nel ’54, dove il giovane scalatore lussemburghese finì 3°. Fu una giornata di pioggia e freddo, una situazione in cui Gaul si esaltò tante volte. Nel ’55 si confermò al Tour de France, un altro 3° posto, ma l’ingresso di Charly Gaul tra i grandi di ogni epoca arrivò l’anno dopo al Giro d’Italia. Gaul correva nella Faema di Learco Guerra, la Locomotiva Umana che tanti duelli aveva animato contro Alfredo Binda.

Quello del ’56 era un Giro in cerca di nuove stelle, dopo il ritiro dalle scene di Bartali e la fine dell’epoca d’oro del dualismo con Coppi, ancora in sella ma senza grosse aspettative nella stagione dei 37 anni. Per Charly Gaul si profilava un Giro di secondo piano, appena 25° in classifica ad un paio di tappe dalla fine. Invece l’8 giugno scrisse una pagina epica di ciclismo: si affrontava la Merano – Trento Monte Bondone di 242 km con quattro colli da scalare e previsioni meteo che annunciavano tempesta, coda di un inverno tra i più gelidi che si ricordino. Gaul cominciò ad attaccare dalla prima salita, il Costalunga, veniva raggiunto e superato nelle discese, dove sempre ha avuto difficoltà, ma ad ogni nuovo impennare della strada era di nuovo a menare le danze. La pioggia lasciò via via il posto alla neve, mentre venti gelidi spazzavano le vallate costringendo decide di corridori al ritiro in condizioni pietose. Anche la maglia rosa Fornara fu costretto ad arrendersi alle pendici del Bondone. Learco Guerra invece ebbe la geniale trovata di far fermare il suo Gaul prima di affrontare l’ultima salita sotto la neve: si fermarono in un albergo a Trento dove Gaul trovò un tino d’acqua calda in cui riscaldarsi. Dopo essersi ritemprato si ributtò sulla strada ormai bianca dalla neve per salire sul Monte Bondone: sul traguardo arrivò semicongelato, con la forza di alzare solo una mano in segno di vittoria, prima di essere portato via a braccia. Fantini, il secondo, arrivò dopo quasi 8’, lo stoico Magni con una clavicola fratturata, terzo a 12’. Charly Gaul indossò così la sua prima maglia rosa, che portò senza problemi fino a Milano, dove fu accolto dal tripudio della gente esaltata dalla drammatica tappa del Bondone.

Eppure proprio il Bondone appena un anno dopo giocò un brutto scherzo a Charly Gaul, che era diventato “L’Angelo della montagna”. Con una maglia rosa che pareva saldissima sulle sue spalle, proprio nella tappa che tornava sul suo Bondone, Gaul si fermò a fare pipì nascondendosi pudicamente dietro a degli alberi e perdendo così molto tempo. I suoi rivali naturalmente non aspettavano altro: era un ciclismo (ed un mondo) in cui non c’era la presenza ossessiva delle telecamere e la retorica del fair play e certi “agguati” erano all’ordine del giorno. Bobet e Nencini lo attaccarono senza pietà ed il lussemburghese perse più di 10 minuti sul traguardo di Trento e con essi la possibilità di rivincere il Giro, nonostante la pronta rivincita il giorno successivo a Levico Terme. La maglia rosa andò a Gastone Nencini che la difese fino a Milano. Da allora oltre che “Angelo della Montagna” Charly Gaul divenne anche “monsieur pipì”, soprannomi che ne descrivevano la straordinarietà di scalatore come il suo approccio naif alle corse e alla vita.

Nel ’58 dopo aver visto trionfare Ercole Baldini al Giro d’Italia, Charly Gaul compì la seconda grande impresa della sua carriera, stavolta sulle strade del Tour de France. Come sul Bondone, Gaul arrivò a pochi giorni dalla fine della corsa con un grave ritardo dalla maglia gialla Raphael Geminiani, abile stratega, e poche chance di vittoria. Ma in una giornata battuta da pioggia ininterrotta, freddo gelido e con cinque grandi colli da scalare Charly Gaul rovesciò il risultato. Ancora una volta si esaltò in situazioni estreme, mentre gli avversari andavano alla deriva e dovevano in qualche modo cercare di raggiungere avventurosamente il traguardo. Gaul saliva ancora agile senza sentire il freddo e al traguardo di Aix les Bains, pur senza riuscire ad indossare la maglia gialla, passata a Vito Favero, aveva di fatto capovolto gli esiti della corsa. Nell’ultima cronometro infatti recuperò anche il distacco dall’italiano arrivando a Parigi con il Tour in mano e il convincimento di tutti che quel lussemburghese fosse il più grande scalatore di sempre.

Al Giro regalò ancora giornate da consegnare alla memoria nel ’59, quando attaccò Anquetil che era in maglia rosa nella penultima tappa. Gaul attaccò sul Piccolo San Bernardo ed al grande campione francese non rimase altro che contare i minuti di distacco all’arrivo, ben 9, che consegnavano il Giro a Gaul, il secondo ed ultimo. Anche nel ’60 lo scalatore lussemburghese fu tra i primattori, vincendo la tappa con la prima storica scalata del Gavia, e nel ’61 riuscì ancora a salire sul podio del Tour de France, terzo in una classifica dominata da Anquetil.

Charly Gaul era ancora giovane, non ancora trentenne, ma la sua stella cominciava già a dare qualche segnale di decadenza. Nel ’62 arrivò il momento del ritiro dalle corse e per lunghi decenni di lui si seppe poco o nulla. L’Angelo della Montagna, fedele al suo personaggio enigmatico, si era fatto crescere la barba, viveva nel più assoluto riserbo e cadde nella spirale dell’alcolismo. Solo negli anni Novanta Gaul e il ciclismo incrociarono di nuovo le proprie strade. Il vecchio campione era affascinato da Marco Pantani, che tutti indicavano come suo erede, ed era tornato a seguire da vicino le corse proprio per conoscere quel grimpeur che gli ricordava le sue imprese. E per una strana scelta del destino il cielo ce li strappò a distanza di qualche mese: Pantani nelle tragiche circostanze che tutti sanno, Gaul invece si ammalò di tumore e spirò il 6 dicembre del 2005. L’Angelo fece in tempo però a tornare su quella montagna che aveva reso leggendaria, il Bondone, il 16 ottobre, neanche due mesi prima di morire ed ormai costretto su una sedia a rotelle. Quella strada divenne allora la “Salita Charly Gaul”, con l’apposizione di una targa celebrativa e per celebrare i cinquant’anni dell’impresa il Giro d’Italia è tornato sulla vetta del Bondone di lì a pochi mesi, quando l’Angelo della Montagna scalava già le vette del Cielo.